03 Mag Adolescenti e alimentazione: la pandemia non aiuta
Adolescenti e disturbi alimentari durante la pandemia
La pandemia ha messo in evidenza l’aggravarsi dei disturbi dell’alimentazione negli adolescenti e in genere nei più giovani. Le statistiche hanno rilevato un aumento dei casi del 30% rispetto al periodo prima del lockdown. Un dato allarmante che pone degli interrogativi su come intervenire con la psicoterapia e con un approccio sanitario multidisciplinare per arginare il fenomeno.
I disturbi alimentari negli adolescenti
L’aumento esponenziale dei disturbi alimentari durante la pandemia è indicativo di un disagio crescente, non solo per la quarantena prolungata e per i periodi alterni di chiusura, ma anche per le conseguenze che questo evento imprevedibile, quanto psicologicamente pesante, ha provocato.
Gli esperti psicologi e i medici, che si occupano di questa tipologia di problematiche, si sono resi conto, dai dati in loro possesso, che anche l’età di insorgenza dei problemi alimentari si è abbassata. È, infatti, arrivata a coinvolgere ragazzini che già a 8 anni hanno un rapporto difficile con il cibo.
In passato, ad esempio, il range di età durante il quale si concentravano la maggior parte dei casi di anoressia andava dai 15 ai 25 anni e, in più della metà dei casi, con interventi mirati di psicoterapia e le cure cliniche, si riusciva ad avere successo.
Durante la pandemia la difficoltà di seguire i giovani pazienti in presenza, unita alla necessità di rimanere confinati in casa, ha creato terreno fertile per ricadute e nuovi casi.
L’assenza di relazioni, la totale mancanza o quasi di attività fisica e la chiusura delle scuole oltre alla necessità di fare didattica a distanza davanti al computer hanno determinato un crescente disagio nei giovani che non sanno come gestire il tempo a loro disposizione.
La conseguenza per i giovani è stata concentrarsi sul proprio fisico, scaricando spesso sul cibo tutte le frustrazioni.
In questo frangente la famiglia è fondamentale per individuare comportamenti e segnali che possono far sospettare un rapporto conflittuale col cibo.
I segnali degli adolescenti caduti in disturbi alimentari
La pandemia ha in qualche modo costretto a trascorrere più tempo in famiglia e questo, se da un lato ha portato benefici, dall’altro ha acuito i conflitti nei nuclei con una situazione già compromessa.
I genitori o comunque i familiari sono i primi a potersi rendere conto se un adolescente comincia a controllare il cibo che mangia, evitando pietanze con grassi o troppo abbondanti.
I dati di un’indagine diffusi dal Ministero della Salute ci indicano che purtroppo nell’ultimo periodo sono aumentati i casi di bulimia e anoressia nervosa. Gli psicoterapeuti sanno bene che i segni cominciano a evidenziarsi fisicamente quando si è già entrati in questo gorgo, per questo occorre porre sempre attenzione ai comportamenti per intervenire con una diagnosi precoce, fondamentale per la prognosi di questi disturbi.
Gli altri segnali che richiedono attenzione possono anche essere l’attività fisica smodata, anche in questo periodo dentro casa, e i repentini cambiamenti d’umore, fino al rifiuto del cibo o al contrario l’eccesso di pasti non salutari, ricchi di zuccheri o grassi.
Gli adolescenti che soffrono di disturbi alimentari e di anoressia hanno il terrore di ingrassare e non è escluso che, pur mangiando, possano incorrere anche nella bulimia.
Tutto questo necessita di un controllo attento ma discreto, in modo da poter intervenire quanto più tempestivamente possibile all’insorgenza del problema.
Il dialogo è certamente importante per evitare l’isolamento soprattutto con la pandemia, per cui la stanza diventa per l’adolescente il suo piccolo mondo dove si concentra tuttavia una socialità ridotta al minimo.
Un evento storico di una tale portata è naturale che possa aggravare qualsiasi patologia a livello psicologico, in quanto nessuno, men che meno gli adolescenti, è preparato a recepire un sconvolgimento della vita come l’abbiamo vissuta fino a oggi.
Ecco perché seguire con attenzione i propri figli e chiedere la consulenza psicologica, ove fosse necessario, è il comportamento più idoneo per intervenire in modo incisivo e aiutare i ragazzi.
In particolare il fenomeno dell’anoressia colpisce nel 95% dei casi le ragazze che ancora acerbe nello sviluppo della loro identità tendono ad identificarsi con modelli fisici di perfezione proposti dai social e mass media.
La terapia psicologica ai tempi della pandemia
Un aspetto non trascurabile ai tempi della pandemia è l’inadeguatezza di un apparato multidisciplinare per curare le patologie alimentari in quanto le risorse mediche si sono concentrate sull’emergenza sanitaria legata al Covid.
Non è solo infatti l’aspetto psicologico e psichiatrico che potrebbe bastare a erogare un servizio sufficiente ad affrontare il disagio alimentare dei più giovani. A questo bisogna affiancare anche le cure cliniche per recuperare la regolare nutrizione.
L’approccio deve essere complesso senza trascurare alcun aspetto e in particolare quello dell’acquisizione o del recupero di uno stile di vita finalmente sano.
La psicoterapia per curare i disturbi alimentari riguarda sia l’adolescente che la famiglia. L’informazione e la consapevolezza del problema deve essere condiviso per avviare i ragazzi al recupero del deperimento fisico e alla ricostruzione del rapporto con il cibo.
A questo si aggiunge anche una rimodulazione della percezione del proprio corpo, per ritrovare amore per sé ed autostima.
Chi soffre di anoressia ,ad esempio, vede un’immagine alterata di se stesso e su questo aspetto bisogna lavorare a lungo in terapia per imparare ad amare l’immagine di sé reale e non idealizzata.
Aumentare l’autostima significa soprattutto andare a colmare un senso d’inadeguatezza che porta gli adolescenti anoressici a non essere mai soddisfatti di se stessi.
In alcuni casi si tratta di ragazze e ragazzi che collezionano successi a scuola o in altri contesti, ma non si piacciono mai abbastanza perché soffrono di un perfezionismo smodato.
Nei casi più gravi il ricovero di chi è interessato da anoressia può durare anche diverse settimane, in altri casi basta la psicoterapia ambulatoriale con appuntamenti settimanali. È proprio in questo avvio di recupero che bisogna ricominciare un processo di rivalutazione di sé stessi.
Per quanto riguarda la bulimia, invece, è caratterizzata inizialmente da una fase di restrizioni ferree, seguita dal primo episodio di abbuffata quando diventa impossibile mantenere il controllo ossessivo sul proprio peso e sulla fame.
Le abbuffate portano con sé sensi di colpa, vergogna e paura di ingrassare: per questo spesso le persone che soffrono di bulimia si inducono il vomito, nella speranza di non assimilare le calorie del cibo ingerito.
Il senso di colpa indotto dalle abbuffate viene sostituito dalla convinzione di dover adottare in maniera decisa una serie di tecniche per dimagrire: dieta ferrea, iperattività, utilizzo di lassativi, che portano nuovamente ad un sentimento di inadeguatezza e riacutizzano il senso della fame che, combinate, portano il soggetto ad una nuova abbuffata.
Il compito della psicoterapia è fare in modo che il controllo esasperato del peso e sul cibo lasci spazio all’espressione libera delle emozioni. L’inadeguatezza è spesso accompagnata dalla paura di esprimersi, di mettersi in gioco e di “correre il rischio” di essere individui da valorizzare.
Se avete dubbi su un figlio che potrebbe avere problemi alimentari non esitate a parlarne con la psicoterapeuta. Solo in questo modo si può intraprendere un viaggio condiviso fatto di dialogo, sostegno e vicinanza, per affrontare non solo l’anoressia ma anche la delicata condizione emotiva dovuta alla pandemia.
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